Le provocazioni di Biden

Vincere le elezioni non basta per essere un buon politico, bisogna saper governare con diplomazia e intelligenza. Biden a poco più di tre mesi dall’insediamento sta dimostrando tutti i limiti di un politico non all’altezza dei problemi mondiali.

Questo uomo manovrato dai settori più retrivi e loschi dell’establishment americano sta affrontando alcuni problemi mondiali come: rapporti con Cina e Russia, con Iran e Corea del Nord in modo velleitario e provocatorio, sta cercando di espandere la presenza Nato nei paesi dell’est europeo e nuovamente aizzando parte dell’Ucraina contro l’etnia russa.

Ha inviato nuovi contingenti militari in Siria dove usa i settori terroristici in funzione anti governativa, ha rinnovato sanzioni economiche contro Venezuela e Cuba.

Non ultimo il delirante e volgare attacco di Biden a Putin, impensabile a quei livelli istituzionali, inclinerà ulteriormente la fiducia e le possibilità di dialogo. 

Queste scelte avranno a breve come conseguenza la crescita di ostilità e di interferenze verso altre nazioni tipici della politica USA e dell’UE. 

I diritti umani vanno rispettati ovunque e non sembra che in Europa siano stati rispettati visto che i leader politici catalani sono in carcere, visto che Assange è in carcere per aver difeso la democrazia svelando le trame di spionaggio americane, in Siria di certo non si difendono i diritti dei siriani bombardando i centri abitati e  sottraendo petrolio fuori da ogni diritto sancito dall’ONU. Non si sono di certo difesi i diritti umani quando l’Arabia Saudita ha ucciso il giornalista Khashoggi eppure sia gli USA e l’UE hanno chiuso entrambi gli occhi dinanzi a tale efferato delitto. Per l’Occidente democratico ci sono diritti e diritti a secondo la convenienza politica.

Continuare su questa strada mostrando muscoli anziché diplomazia e intelligenza nel costruire i rapporti tra i popoli, si arriverà di sicuro a nuove guerre e alla rincorsa pericolosa già in atto delle armi. Questa politica provocatoria è molto pericolosa per la pace e l’intera umanità

Le foto di Fan Ho

Il “bianco e nero” non ha tempo, è l’essenziale del fotografare, è il dentro di un’immagine. Le ombre, i chiaroscuri, lo scalare di grigi e luce danno una voce intima ai soggetti, ti inducono ad uno sguardo profondo, intimo, sulla realtà. Fan Ho è stato un grande maestro della fotografia in bianco e nero.

Nato a Shanghai nel 1937, vissuto prima a Guangzhou (Canton) poi a Hong Kong ha dedicato la sua vita alla fotografia, morto di polmonite nel 2016 ci ha lasciato un’eredità fatta di immagini capolavoro.

La vita di strada, uomini e donne con i loro gesti semplici, naturali, istintivi, gli angoli di città vuoti, la povertà, la quotidianità sono ciò che narra la sua fotografia. Ha usato spesso le ombre, le sfumature, i mezzi toni per dare vita e voce  ai suoi soggetti. Vicoli, strade, linee geometriche, ha ricercato differenti angoli di prospettiva per dare essenzialità e dinamismo alle immagini.

Le sue immagini sono di una bellezza senza tempo, hanno un’armonia ricercata, sono dei racconti di poesia. Con le immagini crea atmosfere particolari, soggetti solitari, strade vuote, sono espressione di libertà

Parlando di fotografi

Questa mattina parlando occasionalmente di fotografi e fotografie ho ritenuto opportuno ritornare dopo tempo sulle foto di un fotografo, Sebastiao Salgado, che seguo da tempo e che io considero un uomo dalla creatività geniale capace come non mai di dar voce con le sue foto alle grandi tragedie umane e ambientali del nostro tempo.

le sue foto sono immagini estreme prive di sensazionalismo, raccontano storie bibliche , personaggi di tragedie umane recenti. I brividi di pelle sono le parole a didascalie delle immagini mentre il silenzio è il suono che le accompagna.

Ecuador, 1982 © Sebastião Salgado/Amazonas Image

La notte le sue bellezze

Athene noctua – Civetta

Tra le sorprese della notte, può capitare di avvistare una civetta. Proprio l’imminente primavera porta questo stupendo rapace a vagabondare tra i rami e i rovi del bosco nelle ore notturne e all’alba. In queste notti silenziose, dove il buio rilascia parole mute e solo la luna gioca con il suo alone avverti il verso della civetta. Il suo volare è soffice, leggero, abile e elegante. Questo rapace ha occhi che leggono il buio e un canto spesso lamentoso, a volte acuto e stridulo. L’eleganza dei suoi voli, come l’imprevedibilità delle sue posate e ciò che di più affascinante e bello si può vedere.

Quando il cinema è cinema

“Un lungo viaggio nella notte” è un film che ti immerge in un’esperienza da sogno, un sognare continuo, ti prende per mano ti porta nel labirinto della memoria e ti suggerisce che i sogni non sono altro che ricordi dimenticati. 

Il protagonista Lou, ex gestore di casinò, ritornato dopo molti anni nella sua città Kaili, per il funerale del padre, è sopraffatto dai ricordi e dall’impellente bisogno di ritrovare una bellissima donna mai dimenticata. Cerca nella sua mente, ogni dettaglio che lo porteranno a sconvolgenti rivelazioni.

Wan Qiwen è la misteriosa donna dal vestito verde, la compagna di un gangster, l’assassino di Randagio, un vecchio amico di Lou, ucciso per aver contratto un debito. Riaffiorano nella sua mente  frammenti della figura della madre, di un figlio mai nato, dell’amico ucciso, del misterioso e forte legame con questa donna.

Un film di sottile e di ermetica poesia, uno stile sensoriale e emotivo che ricorda Wong Kar-Wai, immagini stupende, un raccontare quasi senza parole, dove l’ambiente, i dettagli di riferimento come le figure dei dipinti di Chagall, creano un’atmosfera surreale, suggestiva, enigmatica. Quando tutto sembra risolversi con l’arrivo di Lou al locale dove deve incontrare Wan Qiwen un’ultima volta,  tutto viene scombussolato, destrutturato, il regista fa entrare il protagonista in un cinema dismesso e disadorno, gli fa mettere gli occhiali 3D e lo porta in un lungo sonno. 

Qui inizia un nuovo film, un piano sequenza onirico di allucinazione, un luogo memoria. Una miniera abbandonata diventa  un labirinto, una metafora con riferimenti mitologici, dal “ labirinto memoria” Lou esce aiutato dal Minotauro ragazzino,  che ricorda l’amico Randagio, un’immagine del volo di Dedalo e Icaro che lo trae in salvo. Non è tanto la lettura lineare del racconto quanto le altre traiettorie proposte che valorizzano il significato del film, le sue speculazioni sul senso della memoria, di cos’è il cinema, dei sogni come ricordi dimenticati, del dualismo tempo spazio, anima e corpo, sonno e veglia, verità e bugia, il raccontare dei ricordi che mescolano realtà e fantasia. Sul finire in una sala da biliardo incontra la sensuale e malinconica cantante di Karaoke, una donna oramai molto diversa da colei che l’aveva fatto innamorare, trascorre la notte aspettando l’alba come maturazione e liberazione.

Un film stupendo, complesso, creativo, da vedere con pazienza e attenzione per carpirne tutte le citazioni culturali e filosofiche presenti, per poterlo leggere sui vari piani di lettura così come proposto da Gan Bi un regista cinese dal futuro roseo. 

Un film delicato e geniale

Un film di grande sensibilità, educativo per grandi e piccini

“Parigi a piedi nudi” è un film essenziale, dove nulla è casuale, è un viaggio su un filo sottile che separa la banalità dalla genialità, un paradosso creativo continuo. Un’opera fuori dal tempo, dove i corpi riempiono la scena, la fervida gestualità parla, vive, la mimica clownesca racconta storie di vita. Una vita fatta di incontri, circostanze possibili e impossibili, reali e surreali.

Parigi a piedi nudi ha toni grotteschi, scanzonati che rendono piacevole e umana la storia di una ragazza bibliotecaria del Canada chiamata in aiuto di una zia che anziana e sola a Parigi è in fuga per evitare di essere ricoverata in una casa di riposo.

Arrivata a Parigi, Fiona la ragazza protagonista incontra uno smemorato e dinoccolato clochard Dom , da qui accadranno emozioni e peripezie dal risvolto grottesco e comico.

Ogni personaggio del film ha un desiderio da realizzare, Fiona spaesata in una città che non conosce cerca la zia Martha, lei a sua volta fugge dalla prospettiva di essere ricoverata in cerca di libertà e pensa di trovarla nel suo vecchio amore Ducan, Dom il senzatetto innamoratissimo insegue Fiona. Proprio a piedi nudi sul set del film come nella vita reale di tutti giorni è la condizione che ci permette di essere noi stessi e di accogliere e amare gli altri.

Fiona Gordon e Dominique Abel sono i protagonisti, autori, interpreti e registi di questa fiaba parigina che con delicatezza e sensibilità ci parla dei fatti della vita.

Sebastiao Salgado, la foto con voce



“ Il sale della Terra “ è un film/documentario del 2014 diretto da Win Wenders e Juliano Salgado  sulla vita del fotografo brasiliano S. Salgado, ritrae le opere di questo maestro del bianco e nero, che per anni ha fotografato la sofferenza umana, ha dato voce agli emarginati, agli sfruttati, ai dimenticati. 
La sua fotografia  oltre ad avere un’accentuata bellezza estetica, è una fotografia di straordinaria carica emotiva, i suoi soggetti hanno sofferenza, speranza, soprattutto un’anima.  Ha documentato con forte denuncia i cambiamenti ambientali, economici e politici che condizionano la vita dell’essere umano. Le immagini di Salgado rivelano gli aspetti più scomodi del mondo contemporaneo: la povertà, lo sfruttamento disumano, il terrore delle guerre, la distruzione ecologica del pianeta. 
Tra tanti drammi umani, visti, quello che lo traumatizzerà di più, portandolo a sospendere la sua professione, è stato il genocidio ruandese . Più tardi riprese a fotografare con un progetto/opera “ Genesi” con cui proietta uno sguardo straordinario sugli animali e i luoghi incontaminati del pianeta, una denuncia del degrado ambientale causato dall’opera dell’uomo, uno  stimolo per la loro tutela e salvaguardia.
La sua opera di maggior impatto probabilmente è “ La mano dell’uomo “ un’opera immensa sull’uomo, sul lavoro, sulla dignitosa sofferenza, una forte denuncia, dove crudezza e umanità esprimono una potenza comunicativa senza uguali. 
Tra i suoi libri di fotografia pubblicati: 
– La mano dell’uomo
– Genesi
– Dalla mia Terra alla Terra
Il bianco e nero è lo stile di Salgado. Ha usato la bellezza estetica, la perfezione formale contrapposta alla tragicità e al dolore dei soggetti fotografati.
Le sue foto hanno una forza di comunicazione, di denuncia, un impatto visivo enorme , sanno raccontare, danno voce a chi non c’è là.

L’attualità di Ken Loach

Ken Loach

Non sono un grande fruitore di film, soprattutto di quelli attuali, prediligo film d’autore che mi portano alla riflessione; la spettacolarizzazione, gli effetti speciali, l’azione fine a se stessa non mi entusiasmano più di tanto. Ci sono nelle mie preferenze alcuni registi, che ho sempre amato: M. Antonioni, P. Pasolini, C. Chabrol, W. Wenders, Lars Von Trier, Wong Kar- Wai, K. Loach 
In questi giorni di quiete inquieta, ho rivisto con calma alcuni film  e  uno di questi:  Sweet Sixteen di K. Loach mi ha colpito per la sua attualità e umanità. 
E’ la narrazione della vita di un adolescente Liam e della sua famiglia, è la visione dettagliata di una realtà sociale spesso dimenticata, ghettizzata, da politiche economiche neoliberiste che opprimono ogni tentativo di riscatto alla povertà e alla miseria. Liam, la cui madre è appena uscita dalla prigione, sogna una famiglia diversa, lontana dall’ambiente in cui vive, spera di allontanare la madre da figure negative e poco raccomandabili, come il suo compagno e il nonno. Capisce che per riscattarsi ha bisogno di soldi per creare condizioni nuove, dinanzi al dilemma concreto se vendere sigarette rimanendo nella povertà o guadagnare soldi in fretta spacciando droga, sceglie  la seconda via.  Sono due prospettive inaccettabili, in cui Liam non vede alternative di speranza, che insieme ai suoi amici, attraverso mille vicissitudini, lo porteranno al fallimento individuale e alla completa solitudine. E’ la condanna di ogni prospettiva di miglioramento, solo la sorella Chantelle, attraverso molte difficoltà, fatta di lavoro, di rinunce, di un figlio, sopravvive alla desolazione e al fallimento individuale.
Le tematiche sociali, l’aspetto umano fatto da molteplici e contrastanti sentimenti, il vivere tra mille ostacoli e degradate condizioni, sono sempre stati i temi dei film di questo regista.  Ken Loach con i suoi film e le sceneggiature di Paul Laverty, ci porta a leggere quel che avviene nei sobborghi popolari, ci porta a conoscere le ingiustizie e le oppressioni, che la società benpensante e neoliberista senza scrupoli impone agli individui. 
Il suo filmare è fatto di diritti negati, di dignità calpestate, di sfruttamento delle persone comuni, dei loro mondi disperati ed emarginati. Nei suoi film c’è la semplicità umana, le sue bellezze affettive e di sentimenti, le sue sfortune, ci sono gli spaccati drammatici del mondo del lavoro, del precariato, del degrado, degli abusi, delle violenze, delle oppressioni del potere, dell’uso distorto delle leggi democratiche contro i singoli individui.
Sono le storie, le vite più comuni, le più umane, che sono allo stesso tempo,  le vite più tragiche e drammatiche. I suoi film ci danno cose  che nessun denaro ci potrà mai dare.

Pasolini regista amatoriale

Il problema non è se Pasolini è un regista amatoriale o no, come sostiene nella sua critica il regista Muccino.

Il problema è che Pasolini con mezzi tecnici a volte anche improvvisati ma voluti e scelti ha creato opere d’arte, ha saputo realizzare immagini che scavano l’animo umano, che danno sensazioni ed emozioni profonde. Dopo 30-40 anni alcuni suoi film sanno dire ancora qualcosa di profondo, sono opere di cultura.

Muccino pur con mezzi tecnici migliori e innovativi ha saputo finora realizzare immagini patinate, film di consumo come c’è ne sono tanti. Nessuno vuol criticare questa scelta ma finora non ha saputo produrre più di tanto.

In una società dell’apparenza come quella di oggi è possibile anche che le lucciole possano sembrare lanterne.

Film d’autore

Melancholia – Lars Von Trier

L’inizio è solo poesia, immagini in slow motion di rara bellezza glaciale; sfiorati dalla musica di Wagner (prologo di Tristano e Isotta) progressivamente ti senti scavare dentro, sfregiare l’animo e chi ama farsi sfregiare  dall’arte trova un capolavoro.

Due sorelle Justine e Claire, un tempo unite, ma sempre più diverse, si amano e si odiano sullo sfondo di una catastrofe imminente, il pianeta blu Melancholia  in rotta di collisione con la Terra.

Due donne diverse, forse due volti della stessa persona, istinto e razionalità, depressione e normalità.

 Justine,  che non riesce ad essere felice nemmeno nel giorno delle sue nozze, sempre più vinta dalla depressione, una melanconia l’avvolge, smette di sognare, rifiuta l’ipocrisia del vivere  e difronte alla fine della vita sulla terra, trova la calma e il coraggio di accettare la caducità della vita.

Claire, la sorella, moglie premurosa e felice, donna razionale, circondata da una famiglia perfetta, ricca, educata, che davanti all’approssimarsi della catastrofe ha il terrore di perdere tutto e finisce vittima della paura, della fragilità dell’effimero.

Un film d’autore si valuta anche dai particolari e Lars Von Trier è una continua sorpresa:

una madre cinica e un padre amorale latin lover, lo strumento di misurazione del pianeta opposto al telescopio, è arcaico, intuizione contro ragione. Gli organizzatori del matrimonio e il maggiordomo della casa della sorella, tutto deve essere sotto controllo,perfetto nei minimi particolari, i calcoli scientifici, il regista sembra qui mettere alla gogna sia il controllo sociale, (il matrimonio), la sicurezza del perbenismo (la famiglia), le certezze scientifiche (i calcoli di John).

Melancholia si scontra con la terra, è la fine dell’umanità, la caducità della vita, la natura nella sua drammaticità ha il sopravvento, alla fine sembra quasi chiederci di capire la sua melanconica e nichilistica visione dell’universo in cui non c’è altro che la nostra vita destinata primo o poi a concludersi.

Un film che ha molteplici letture, dalla narrazione quasi mistica, di una forza simbolica rara, di un’ atmosfera profonda e inquietante, un film rigoroso e severo che traduce l’arte in capolavoro. 

Angèle e Tony

Angèle e Tony, un film indipendente, diretto dalla regista Alix Delaporte,  un film semplice, fatto di dialoghi scarni, essenziali, sbalzi d’umore, sentimenti narrati con delicatezza e tatto, insomma un film di innata eleganza e sensibilità.

Ambientato in un piccolo porto di pescatori della Normandia, il film racconta le vicissitudini di due persone tanto diverse quanto uguali nel vivere una profonda solitudine.

Angèle è una giovane donna uscita da poco di prigione per aver causato involontariamente un incidente in cui è morto il marito, una donna aggressiva, schiva, dall’animo ferito, piena di rabbia, alla ricerca di se stessa e  tutta protesa a recuperare il rapporto con il figlio affidato ai suoceri.

Tony è un uomo silenzioso, apparentemente burbero, uomo di solidi principi che vive con la madre e il fratello, con pazienza aiuta la famiglia a superare la morte in mare del padre.

La loro storia s’intreccia lentamente, casualmente s’incontrano, poi si respingono e infine col tempo maturano i sentimenti e la fiducia reciproca e si comprendono.

Due vite diverse, piene di solitudine, in cerca di uno sbocco positivo da dare al proprio vivere, un film dove la vita umana è rappresentata nei suoi nudi sentimenti, stati d’animo, ambizioni e desolazioni, senza fronzoli, ma con una delicatezza inusuale nel cinema d’oggi.

Angèle e Tony

regia: Alix Delaporte

attori: Clotilde Hesme, Gregory Gadebois

CLAUDE CHABROL

Pochi giorni fa ci ha lasciati all’età di 80 anni un grande maestro del cinema europeo.

Claude Chabrol, grande regista di talento e uomo di cultura francese, è stato capace di regalarci un cinema raffinato, impertinente, profondo,  a volte attingendo da Simenon un noir pieno di humor.

Con tocco inconfondibile ha dipinto le gioie, gli odi, la perfidia della borghesia, le ipocrisie e la meschinità della provincia.

Con Truffaut e Godard fu autentico protagonista della ” Nouvelle Vauge”, una delle sue attrici preferite è stata Isabelle Huppert.

Tra i suoi numerosi film : L’innocenza del peccato – Bellamy – La commedia del potere – Il fiore del male – Grazie per la cioccolata – Violette Noziere – Il colore della menzogna – Il buio della mente – Betty – Un affare di donne.

Corpi e anime

IL CIELO SOPRA BERLINO (1987) regia di Wim Wenders

Il cielo sopra Berlino è più di un film, è un’opera lirica di profonda umanità e di elevata intellettualità, attraverso la simbologia degli angeli si narra la drammatica esistenza degli esseri umani e l’ineluttabilità del loro destino.

Ambientato nella città di Berlino è la storia di due angeli, Damiel e Cassiel, che dall’alto osservano cosa fanno e ciò che pensano gli uomini, essendo esseri spirituali però non possono vivere i sentimenti umani e non possono essere visti, solo i bambini, esseri puri quasi quanto gli angeli, possono riconoscerli. Vagabondando per la città, attraverso il bianco e nero, ci fanno scoprire i sensi di colpa, le ansie, le disgrazie, le miserie della condizione umana.

Incontrano un vecchio “ Omero” che passeggia a ridosso del Muro; Omero è la memoria storica della città, ci parla dell’illustre passato, della sventura che l’ha travolta durante la guerra, fino alla dolorosa e lacerante separazione. Il Muro è simbolo di separazione tra i due blocchi, ma è anche simbolo filosofico di separazione tra la città celeste e quella terrestre. Damiel nel suo girovagare finisce per incontrare una trapezista di un circo e se ne innamora. Aiutato nella riflessione da un ex angelo (Peter Falk) che sta girando un film a Berlino, Damiel desideroso di ritrovare la donna che ama lascia la sua immortale condizione di angelo e si fa uomo per vivere il suo sentimento d’amore e per cercare Marion. Ritroviamo ancora dei bambini che frequentano il circo e rappresentano il mondo della fiaba, un mondo necessario e indispensabile per dare apertura mentale nel risolvere i problemi del mondo. Il circo è il simbolo del viaggio della civiltà, il circo che chiude è null’altro che il cammino della civiltà verso il suo tramonto. Damiel divenuto uomo vivrà la condizione umana con tutte le conseguenze e ritroverà Marion la donna che tanto ama, l’altro angelo Cassiel lo osserverà con un po’ di malinconia per non aver trovato il coraggio di abbandonare la sua condizione di angelo. La scena conclusiva del film dove Damiel osserva tenendo ferma la corda su cui volteggia la sua Marion è una grande elegia alla femminilità, è un’esaltazione del femminile, l’acrobata che volteggia con grande grazia e aspira alla leggerezza degli angeli è la ricerca di una simbiosi tra intelletto e sentimento.

Sono passati parecchi anni dalla sua uscita, ma questo film complesso e dai grandi risvolti, mantiene sempre la peculiarità di lasciar intravvedere mille pieghe di intellettualità, è la storia di anime e corpi raccontata con liricità e umanità.