L’autunno sferza la campagna
con il freddo coltello
intaglia l’anima
Assopita la natura si ritrae
pensieri disgiunti fuggono
tra foglie ingiallite
Dormono i sogni
come tronchi scorticati
tra brune fitte
Con labbra socchiuse
e spente voglie
sorseggiamo il nulla
Nel gheriglio del cuore
il tempo dà dolore poi oblio
La quiete acqua del lago
di nuovo ci fa respirare
Categoria: Frammenti di quiete
Antibes
Vorace la luce spoglia l’età
libero fluttua il pensiero
navigare leggeri nel nulla
dove pare infinito il mare
L’occhio galleggia a stento
in cerca di verità ormai perse
il sole guida lo sguardo
stretto a te so dove andare
Come posso
Come posso spiegarti
che quando ti dico
ti voglio bene, il mio
è un bene non possessivo.
Come posso dirti
che quando tu mi dici
ti voglio bene
io voglio che tu
voglia bene prima a te stessa.
Solo così liberamente
puoi scegliere di amarmi
come hai fatto tu
come ho fatto io
amandoci in tutti questi anni
Giugno
Claude Monet – I papaveri 1873
Giugno, vado per campi,
calpestando l’erba ferita
arruffo nel disordine l’esistenza.
Ostinato col pensiero spogliato
inciampo tra rovi lacerati d’ansia.
Odo nei fossati un chiasso tarlato
cicaleccia il fuoco d’ombra serale.
Smangiati i chiodi dell’arsura
tra pietre di pelle logorata
strappiamo malerbe avvolte al collo.
Poni il capo sulla spalla
sgranchisci il seno nelle mie mani
prometti chissà quale domani.
Potessimo ingoiare la calura
digerirne le aguzze spine.
La crepa, poi l’abisso
Disappunto d’amore
Nei dammusi cotti dal sole
mi lascio indovinare
come pampini illusori.
Dalla drupa tolto il nòcciolo
sei nido di luce e nettare.
Aspra la radiosa innocenza
l’odore mi stria la pelle.
Urla il mare un muto suono,
nei passi galleggianti d’allegria
si celano le tue ermetiche ombre.
Tra intriganti lacci
nostro l’arcipelago d’amore.
Io e te quasi fuori campo
il brusio di tuffi stanchi
sul filo di un’infesta palude.
Sgomenti con il nulla in pugno
ilarità, ma il gelo rimasto
sgretola la miglior età nel gioco
estenuante mal ridotto.
Un amore non vero fa male.
L’infinitudine
Scheggia timida nel mondo
audacia rivolta al buio.
Aggrappata al cielo, nuda
biondeggi spiga sottile,
profani l’occaso, nemmeno
il sacro è innocente luce.
Aspetti nel fienile d’orgoglio,
mugola il dentro, arrotoli
parole in fessure di rancore.
Non viaggiare in me,
ti perdi e ti riprendi,
frusti verità da baciapile,
incalzando l’ombra assopita.
Smarrita, nella bisaccia del pensiero
l’infinitudine ci insegue,
improvvisa l’incerta afasia
mette i corpi a tacere.
Annegato nel bicchiere vuoto
balla l’universo femminile,
l’ultima menzogna d’uomo
offusca la bellezza nella notte
Folli d’amore
Sto su un pendio scosceso
dentro gradini di silenzio
Tu stai appesa con le dita
alla vanitosa ragnatela dei fianchi
Nella daltonica notte un timido
rossore già germoglia in brace
La tua bocca sa d’oliva matura
mugghia il cielo tra le lenzuola
Il corpo sazio mormora fragilità
Un rantolo di girasole ci disseta
è il bere dei folli d’amore.
Una metafora di rizoma
Nel cielo assente una metafora
di rizoma loquace mormora
il suo molteplice divenire,
sorseggia il sole indispettito
sul baratro dell’inquieto.
Galleggia in un lago di vacuità,
ascolta il tempo lento
di canti senza suono.
L’odore della conoscenza
ha sorgente di noia.
Zoppica il nulla chiudendo le dita,
prospera la ruggine oziosa
tra zolle d’incomprensione.
Rivolto lo sguardo sazio di corpi,
vaglio il venire a te
come un’onda sparsa
ripara intrepida nel porto
Nulla mi manca
Le cicatrici del corpo (prove di Haiku)
Al primo sole s’apre la tua gemma
sciolto l’ovattato pudore
sei carne e fiordaliso
……….
Il tuo corpo delicato
con morsi ho assaporato
ora è un campo sarchiato
………
La paura di perderti
non diventi
la paura di averti
……….
C’è un pertugio nei ricordi
le cicatrici del corpo
lenite con tanta tenerezza
………..
Nel nostro far l’amore
tu innocente fiore
io perverso in cerca d’amore
………..
Rubato un bacio
la tua timidezza
si è fatta audacia
Lei volle, io pure
Lei volle, io pure
follia e speme irriverente
bruciammo a nervi tesi.
Non bastò, amandoti
volli spogliarti quel lembo
che celavi dentro.
Incatenati come Andromeda
alla roccia del disamore
Perseo con la spada
di Cupido ci liberò.