Alì dagli Occhi Azzurri

Questa poesia di P. Pasolini, pubblicata nella raccolta “Poesia in forma di rosa ” nel 1964, ha un candore e una forza penetrativa oggi più che mai attuali.

Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. 
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camicie americane.
Subito i Calabresi diranno, 
come da malandrini a malandrini:
"Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio" 
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica
voleranno davanti alle willaye.
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo  di Dio, 
essi che cantavano
ai massacri dei re,
essi che ballavano
alle guerre borghesi, 
essi che pregavano
alle lotte operaie...
... deponendo l'onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l'onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro di loro Alì
dagli Occhi Azzurri - usciranno da sotto la terra per rapinare -
saliranno dal fondo del mare per uccidere, - scenderanno dall'alto del cielo
per espropriare - e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita -
per insegnare ai borghesi
la gioia della libertà -
per insegnare ai cristiani
la gioia della morte
distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe 
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno come zingari
su verso l'Ovest e il Nord
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento...

Roberto Calasso

Oggi è deceduto Roberto Calasso, una notizia che accolgo con profonda tristezza.

La sua casa editrice Adelphi assieme alla Giulio Einaudi ha scandito le mie letture, con lui muore un grande intellettuale, soprattutto un modo di fare e intendere cultura. Spero si conservi quella peculiarità, quel timbro umanistico di fare e proporre letteratura, perché oggi dinanzi al consumismo, all’avidità, si sacrifica ogni aspetto culturale.

Minotauro

Il mostro mitologico “Minotauro” è ricordato varie volte nelle opere letterarie, dalla “Biblioteca” di Apollodoro alla”Metamorfosi” di Ovidio, fino ai versi di Dante nell’Inferno,12.

In epoca più recente lo ritroviamo nelle raffigurazioni delle opere ”Chi non ha il suo Minotauro” di M. Yourcenar, nel”L’Aleph” di JL. Borges e nel “Minotauro di F. Durrenmatt. 

Il mito del “Minotauro” è il mito del Bene che trionfa sul Male. Il mostro nato da Pasifae moglie di Minosse e dal toro bianco sacro a Poseidone, è il simbolo della bestialità imprigionata nel labirinto. La bestia feroce divoratorice di 14 ragazzi ateniesi verrà uccisa da Teseo con l’aiuto di Arianna. La brutalità del Minotauro vinta dall’astuzia e dall’eroismo.

Durrenmatt ne dà una lettura originale , completamente capovolta, dà un’anima alla creatura bestiale.

Imprigionato in un labirinto di specchi, dove riconosce se stesso e gli altri minotauri creati dalle immagini negli specchi, confuso da queste immagini che agiscono come se stesso, si trova appagato di vivere con l’illusione di vivere tra esseri uguali. Rompendo uno specchio si accorge di essere solo, imprigionato, abbandonato, emarginato da tutti e da tutto. Quando entrano i giovinetti ateniesi, danza, si relaziona con una ragazza ne vive il contatto e scatena la sua violenza solo d’istinto, senza intenzionalità, perde di consistenza la sua fama di violento.

Alla comparsa di Teseo, che si è mascherato da Minotauro, si vede non più solo, torna euforico, dona fiducia all’altro. Così ingenuamente indifeso Teseo lo colpisce uccidendolo. Il Minotauro morendo mostra la sua inevitabile vulnerabilità, non muore per mano del coraggio di Teseo, ma perché tradito, ingannato, dalla fiducia verso l’altro.

Il mito classico, il Minotauro violento, qui è simbolo di una caduta nella solitudine e labirinto è un mondo di specchi, un labirinto mentale, il luogo dell’esplorazione di se stessi, della crescita e della maturazione razionale della ragione sulla condizione umana.

Ma l’autore a guardar bene si spinge oltre questa lettura interiore. Teseo per uccidere il Minotauro, si traveste da mostro, solo così divenuto bestia può uccidere.

Ognuno di noi ha un labirinto, un abisso con cui confrontarsi, un qualcosa di disumano, senza pietà e compassione. 

Come sempre nei suoi libri Durrenmatt è originale e capace di dare letture umanamente profonde del vivere , lacerando quella corteccia di perbenismo e di inganno che riveste le nostre azioni quotidiane.

Antigone e la sua attualità

Antigone dà sepoltura a Polinice – Sebastien Norblin 1825

Del ciclo epico di Tebe si conoscono le leggende , in particolare quelle narrate nelle opere di Sofocle: Antigone, Edipo re, Edipo a Colono. I temi evidenziati sono essenzialmente due: quello dell’incesto tra Edipo e Giocasta e quello del rapporto tra i figli di Edipo per il potere su Tebe, in tale contendere si inserisce l’agire di Antigone.

Nell’opera di Sofocle ad Antigone viene proibita una degna sepoltura del fratello Polinice reo di aver assalito con le armi la propria patria. E’ in gioco il rispetto delle leggi sancite dagli dei, leggi morali e quelle fatte in nome della polis. E’ il dramma della città e della famiglia, il pubblico e il privato entrano in conflitto. Antigone si batte in nome di un principio morale, leggi non scritte che impongono di seppellire il fratello con onore e pietà. Creonte, re di Tebe, difende il principio giuridico, la legge dello stato, la sua ostentata ostinazione è nel ritenere che nessuna legge morale possa elevarsi al di sopra delle leggi di stato.

Entrambe queste figure hanno ragione: Antigone in quanto sorella, non remissiva quanto Ismene, Creonte in quanto sovrano di uno stato. Entrambi hanno torto: Antigone perchè agendo va contro le leggi della polis, Creonte perché offende la sacralità e la pietà.

Sul finire della tragedia Antigone si suiciderà per non restare prigioniera in una grotta, punizione voluta da Creonte, Emone figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone si ucciderà vedendola morta e la stessa fine farà la  mamma e moglie Euridice. Solo allora Creonte si renderà conto dell’errore della sua intransigenza e capirà a quale completa rovina ha portato la sua famiglia, invocherà distrutto la morte.

Antigone esce da questo ciclo di leggende come modello di lotta individuale contro la sopraffazione dello stato. Soprattutto nel 1900 è stata vista come l’eroina invocata, usata, dovunque ci siano intolleranza, ingiustizia, minoranze calpestate. L’essenziale significato di questa tragedia di Antigone percorrerà trasversalmente l’intera storia del pensiero occidentale. Nella trasposizione teatrale diverse sono le rielaborazioni, da quelle di Alfieri, alla più recente  di A.Wajda, ma nel tempo quelle che hanno maggiormente esteso e ampliato il significato di Antigone sono quelle di J. Anouilh, B. Brecht

8 Marzo in memoria di Assia Djebar

Assia Djebar copyright Giovannetti/effigie

Ho iniziato a interessarmi dei popoli del Mediterraneo leggendo il “Breviario mediterraneo” di Predrag Matvejevic, fatto di aneddoti, aforismi, idiomi, diverse peculiarità culturali che in questo nostro mare si sono incontrate, scontrate e hanno finito per plasmare genti e popoli. Spinto dalla curiosità di conoscere e non avendo altri riferimenti sull’Algeria tranne le origini di A. Camus e J. Derrida ho finito per conoscere Assia Djebar.

Assia Djebar, pseudonimo di Fatima-Zohra Imalayène (Cherchell, 30 giugno 1936Parigi, 6 febbraio 2015), è stata una scrittrice, poetessa, saggista, regista e sceneggiatrice algerina. Esponente del pensiero femminista, il tema principale delle sue opere è la condizione della donna in Algeria. Considerata una delle più influenti scrittrici maghrebine, è stata la prima autrice del Maghreb a essere ammessa all’Académie française (il 16 giugno 2005).

Leggere Assia Djebar  con riferimento alle sue opere Donne d’Algeri nei loro appartamenti – Lontano da Medina – L’amore, la guerra, significa conoscere il pensiero di una donna coraggiosa, emancipata, che ha vissuto per valorizzare la vita delle donne togliendole dall’arcaica situazione di subalternità. E’ il modo per alleggerire i nostri immaginari intasati di stereotipi  e ci permette di gustare una raffinata ed emozionante scrittura.

« Poème au soleil »

J’ai libéré le jour

de sa cage d’émeraude

comme une source vive

il glissa de mes doigts.

J’ai libéré la nuit

de la tombe de l’onde

comme un manteau de pluie

elle retomba sur moi.

’ai libéré le ciel

de son lit d’amarantes

dans un éclair d’orgueil

il s’envola en roi.

J’ai lancé le soleil

sur la scène du monde

l’ombre était si profonde

qu’il devint hors-la-loi.

Assia Djebar (1936-2015 )

 Poèmes pour l’Algérie heureuse

Un significativo racconto

dipinto trovato su web

Pur non condividendo il pensiero mistico di Osho Rajneesh ho ritenuto significativo questo suo racconto trovato su web.

In un villaggio viveva un vecchio molto povero, ma perfino i re erano gelosi di lui perché aveva un bellissimo cavallo bianco; non si era mai visto un cavallo di una simile bellezza, una forza, una maestosità… i re offrivano prezzi favolosi per quel cavallo, ma l’uomo diceva a tutti: “Questo cavallo non è un animale per me, è come una persona. E come si può vendere una persona, un amico?”. L’uomo era povero, la tentazione era forte, ma non volle mai vendere quel cavallo. 

Un mattino scoprì che il cavallo non era più nella stalla. L’intero villaggio accorse e tutti dissero: “Vecchio sciocco! Lo sapevamo che un giorno o l’altro ti avrebbero rubato il cavallo. Sarebbe stato molto meglio venderlo. Potevi ottenere il prezzo che volevi. E adesso il cavallo non c’è più, che disgrazia!”. Il vecchio disse: “Non correte troppo! Dite semplicemente che il cavallo non è più nella stalla. Il fatto è tutto qui: il resto è solo giudizio. Se sia una disgrazia o meno non lo so, perché questo è solo un frammento. Chissà cosa succederà in seguito?”. Ma la gente rideva, avevano sempre saputo che era un po’ matto.

Dopo quindici giorni, una notte, all’improvviso il cavallo ritornò. Non era stato rubato, era semplicemente fuggito, era andato nelle praterie. Ora non solo era ritornato, ma aveva portato con sé una dozzina di cavalli selvaggi. La gente di nuovo accorse e disse: “Vecchio, avevi ragione tu! Quella non era una disgrazia. In effetti si è rivelata una fortuna”. Il vecchio disse: “Di nuovo state correndo troppo. Dite semplicemente che il cavallo è tornato, portando con sé una dozzina di altri cavalli… chissà se è una fortuna oppure no? È solo un frammento. Fino a quando non si conosce tutta la storia, come si fa a dirlo? Voi leggete solo una parola in un’intera frase: come potete giudicare tutto il libro?”. Questa volta la gente non poteva dire nulla, magari il vecchio aveva ragione di nuovo. Non parlavano, ma nell’intimo sapevano bene che il vecchio aveva torto: dodici bellissimi cavalli, bastava domarli e poi si potevano vendere per una bella somma.

Il vecchio aveva un unico figlio, un giovane che iniziò a domare i cavalli selvaggi. E dopo una sola settimana, cadde da cavallo e si ruppe le gambe. Di nuovo la gente accorse, dicendo: “Hai dimostrato un’altra volta di avere ragione! Non era una fortuna, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perso l’uso delle gambe, ed era l’unico sostegno della tua vecchiaia. Ora sei più povero che mai”. Il vecchio disse: “Sempre a dare giudizi, è un’ossessione. Non correte troppo. Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe. Chissà se è una disgrazia o una fortuna?… non lo sa nessuno. È ancora un frammento, non ne sappiamo di più…”.

Accadde che qualche settimana dopo il paese entrò in guerra, tutti i giovani del villaggio furono reclutati a forza. Solo il figlio del vecchio fu lasciato a casa perché era uno storpio. La gente piangeva e si lamentava, da ogni casa tutti i giovani erano stati arruolati a forza, tutti sapevano che la maggior parte non sarebbe mai più tornata, perché era una guerra persa in partenza, i nemici erano troppo potenti. Di nuovo, gli abitanti del villaggio andarono dal vecchio e gli dissero: “Avevi ragione, vecchio: la tua è stata una fortuna. Forse tuo figlio rimarrà uno storpio, ma almeno è ancora con te. I nostri figli se ne sono andati, per sempre. Almeno lui è ancora vivo, a poco a poco ricomincerà a camminare, magari solo zoppicando un po’…”.

Il vecchio, di nuovo, disse: “Continuate sempre a giudicare. Dite solo che i vostri figli sono stati obbligati a partire per la guerra e mio figlio no. Chi lo sa… se è una fortuna o una disgrazia. Nessuno lo può sapere veramente. Solo Dio lo sa, solo l’Universo lo può sapere”.

Non giudicare, altrimenti non sarai mai unito alla totalità. Sarai ossessionato dai frammenti, vorrai trarre delle conclusioni basandoti solo su dei particolari. Una volta che hai espresso un giudizio, hai smesso di crescere. Di fatto, il viaggio non finisce mai. Un sentiero finisce e ne inizia un altro. Una porta si chiude e un’altra se ne apre…

Un racconto di Osho

Paolo Volponi

Tra tutti i romanzi scritti da Volponi il “Memoriale” il primo è quello che maggiormente mi ha colpito, spesso è stato visto come una testimonianza di letteratura industriale, ma è tutt’altro. Un romanzo di forte impatto, di estrema intensità espressiva sulla condizione umana nell’era moderna.

Nel romanzo “Memoriale” Paolo Volponi crea il personaggio protagonista Albino Saluggia dopo aver letto una lettera di un operaio malato che si accaniva contro i medici, rei di volerlo ricoverare allontanandolo dalla fabbrica. L’intero scritto è pervaso da una forte tensione esistenziale, Saluggia appare silenzioso, rinchiuso in se stesso, preso da un delirio persecutorio, incapace di stabilire rapporti con gli altri, un diverso impregnato proprio dalla sua diversità.

Nato in Francia ad Avignone, tornato al paese nel ’45, ritiene responsabili dei suoi malanni le persone che ha incontrato nella sua vita. Perfino con la madre ritenuta colpevole, ha un rapporto amore odio, questo complesso di Edipo lo porterà all’impossibilità ad avere rapporti seri, veri con le donne. Divenuto operaio in una grande fabbrica piemontese, vive questa realtà come la sua “terra promessa”, ma i medici aziendali lo ricovereranno più volte perché ammalato di tubercolosi, lui vivrà malamente questa esperienza, come una volontà persecutoria nei suoi confronti. I suoi rapporti in fabbrica sono freddi, diffidenti, solo nel caporeparto Grosset troverà comprensione e di lui scriverà in sanatorio una poesia tanto da descriverlo come un santo. Un altro aspetto presente in tutto il romanzo è il bisogno di affetto, di essere accolto, accettato, la continua ricerca di riconoscersi in ciò che gli sta attorno come risposta al proprio malessere. Ma il suo senso religioso ancestrale, l’intendere la religione da una parte in senso repressivo e limitativo e dall’altro nel porre eccessiva fiducia, gli impediranno di liberarsi delle sue nevrosi. Così come la sua visione verso le donne che incontrerà nella sua vita, viste solo come donne che sfruttano e tradiscono.

E’ un romanzo sull’esistenza umana in fabbrica, sull’alienazione, la commistione tra il bene e il male che si avvicendano nella vita, è la metafora che indica quasi l’impossibilità di dare all’esistenza una piena realizzazione.

Josè Saramago

The Portuguese writer José SARAMAGO.1990. Nobel Prize Literature 1998.

Il “Manuale di pittura e calligrafia” è un romanzo di José Saramago, dove un pittore di nome H. di scarso talento e conscio dei propri limiti accetta di ritrarre un ricco e ambizioso amministratore di una società, mentre esegue questo impegnativo lavoro riflette su se stesso, sulle sue amicizie, sulle idee politiche e gli ideali artistici. Ripercorre le scelte della sua vita e questo percorso diviene una ribellione alle ipocrisie del mondo, un viaggio dove verità e menzogna, apparenza e realtà spesso si sovrappongono. E’ un romanzo complesso dai connotati autobiografici che coniuga con eleganza e profondità di pensiero frasi dotte, invenzioni linguistiche e quotidianità descrittiva.

Nei primi capitoli si parla di pittura e al loro interno si trovano riflessioni sul ruolo e la funzione dei musei, sul significato e il senso dell’arte nel tempo. Verso la 100esima pagina, nella sua parte centrale, diventa un manuale di calligrafia, dove lo scrivere dà un senso al vivere, diviene un racconto di un viaggio che dura un’intera vita. Nell’ultima decina di pagine diviene un vero capolavoro, dove il raffinato e enunciato passaggio dalla pittura alla scrittura, da una forma d’arte all’altra evidenzia non solo la storia di un uomo in crisi e della sua crescita, ma simbolicamente il riscatto di un intero paese, il Portogallo, che si libera dal fascismo.  

Conoscenze matematiche degli Egizi

Papiro di Rhind

Dall’antico Egitto sono giunte a noi diverse testimonianze della conoscenza matematica e geometrica di quel popolo. Il più interessante e completo è il papiro di Rhind, così chiamato dal nome dell’antiquario scozzese che lo acquistò nel 1858 in Egitto. Oggi è conservato al British Mmuseum è stranamente composto nell’impostazione come un libro, riporta 87 problemi con le relative soluzioni.  I problemi sono enunciati in rosso e le soluzioni in nero sono datate attorno alla metà del 1600 a.c. e trascritte da papiri antecedenti. La geometria proposta è probabilmente frutto della necessità che avevano gli egiziani di tenere sotto controllo la misurazione dei terreni fertili vicino al Nilo chiamate” terre nere” per distinguerle dalle terre rosse e improduttive del deserto. Tra i problemi indicati e risolti quello n. 51 dei triangoli è interessantissimo, la risoluzione è enunciata ma non dimostrata, del resto in un periodo assolutistico come quello dei faraoni, il potere assoluto enunciava non aveva bisogno di dare spiegazioni. Una buona parte dei problemi contenuti nel papiro di Rhind riguardano la pendenza delle piramidi e il loro metodo di calcolo.

C’è un altro papiro di grosso interesse il”papiro di Mosca” conservato presso il Museo Puskin acquistato dal governo zarista dall’egittolo V. Goleniscev nel 1912, che a sua volta l’aveva acquistato in Egitto nel 1893.

Questo papiro è meno completo e anche meno ben conservato, contiene solo 25 problemi, ma tra questi c’è una vera gemma di valore matematico, indica come calcolare il volume di un tronco di piramide. Da qui si deduce che gli Egizi dovevano conoscere il calcolo del volume di una piramide: base per altezza diviso tre.

Chi vuol approfondire in modo divulgativo e intelligente i principi della matematica e della geometri antica, troverà di sicuro di interesse le pubblicazioni di Piergiorgio Odifreddi per il modo lineare e semplice con cui affronta anche problemi complessi. Tra le sue pubblicazioni per un approccio divulgativo: C’era una volta un paradosso, Una via di fuga, Hai vinto Galileo, C’è spazio per tutti, Matematico e impertinente.

Papiro di Mosca

L’uomo che piantava alberi

C’è uno scrittore francese, da noi poco conosciuto, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario della morte, Jean Giono che è il simbolo della Provenza, il portavoce culturale dei territori dell’alta Provenza. Nato in una famiglia di origini modeste, il padre ciabattino e autodidatta, la madre stiratrice, dopo aver studiato in collegio, ancora in giovane età lascia gli studi per poter impiegarsi presso una banca e contribuire economicamente. Nel 1916 partecipa alla guerra, nella zona di Verdun e scopre l’orrore della guerra, la sua mistificazione; i massacri in trincea lo segnano per il resto della vita. Uomo dai saldi valori e profondamente legato al territorio i suoi primi scritti oltre all’amore per la natura, l’ambiente della sua Provenza, saranno d’impronta pacifista. Il suo primo successo “Collina” lo farà conoscere al grande pubblico e lo stesso Andrè Gide, che diventerà suo amico, lo sosterrà con entusiasmo. In quegli anni scriverà le opere del “Ciclo di Pan”. La sua posizione intransigente, pacifista, contro ogni tipo di guerra, contro ogni tipo di totalitarismo sia fascismo o comunismo, la sua libertà di pensiero lontana dagli schieramenti ideologici, gli procurerà diversi guai giudiziari negli anni. Alla fine della seconda guerra mondiale, Giono è un uomo disilluso, vittima dell’ostracismo dell’intelligentia parigina e della sinistra, verrà accusato di collaborazionismo, rimarrà in prigione per sei mesi senza che si valuti i fatti reali dove egli ha realmente aiutato partigiani e  ebrei dandogli rifugio nella sua casa.  Scriverà in quegli anni le opere del “Ciclo degli Ussari” Per lungo tempo la sua opera cadde in oblio, finché due film tratti dai suoi libri lo riportarono ad essere rivalutato e riscoperto, “L’ussaro sul tetto”, e il film di animazione“ L’uomo che piantava alberi”.

Nel libro “L’uomo che piantava alberi ” Giono in poche decine di pagine racconta l’incontro con un pastore dell’alta Provenza , un uomo di poche parole, di una semplicità ammirevole, compie una grandiosa azione, che avrà ripercussione sulle future generazioni. Ogni giorno seguendo il suo gregge in una zona arida e impervia seminerà ghiande di quercia. Dopo anni quella zona arida divenne una foresta, tanto da essere tutelata poi come zona demaniale. E’ una magnifica parabola del rapporto uomo-natura. Lo scrittore dirà in seguito che il protagonista del libro Elzeard Bouffiert è un personaggio inventato solo con lo scopo di descrivere il piacere di piantare alberi, lo scopo di dimostrare come è possibile con la piccola azione di ognuno cambiare il rapporto dell’uomo sulla natura in modo positivo.

La forza e il valore di questa piccola opera sta tutta qui, in questo messaggio metafora di come si può cambiare il nostro modo di essere e di vivere. La semplicità di una buona azione può avere un impatto forte sulla vita di ognuno.

Eterna bellezza

Amore e Psiche – Canova 1757 – 1822

 

Ammirare le sculture di Canova, di Rodin o scrutare tra le poesie di J.Keats  in cerca di quella leggera brezza creativa che dia compiutezza ad una riflessione sul proprio vivere, sulla propria esistenza, mi ha portato a evidenziare alcune bellissime Odi di una perfezione senza tempo. Il suo attaccamento all’arte greca, la sua immensa immaginazione l’ha portato a scrivere versi di stupenda passione e sensualità. L’Ode a un’urna greca ha una simbiosi d’armonia tra l’idea di arte e di bellezza tanto da suscitare una profonda riflessione filosofica sul concetto di arte e bellezza.
Nella quinta strofa dell’ode, gli ultimi versi:
“Bellezza è verità, verità bellezza
Sulla terra sapete, è quanto basta 
sono di una creatività, di una intensità, di una originalità senza uguali, sono senza tempo.
Che cos’è la bellezza?  E’ una percezione, un’emozione di armonia, di eufonia che ci può dare un’opera d’arte, una persona, una visone della natura, un oggetto, un qualcosa di conscio e inconscio che ci appaga e ci soddisfa con un’immediata sensazione di bello. Spesso l’idea di bello è soggettiva, ma c’è una bellezza oggettiva che è legata ad aspetti particolari di proporzione, di armonia, che ci porta a condividere con molti altri il senso di bellezza.
Nell’antichità classica, la bellezza è indiscutibilmente legata al concetto di bontà, a parere dei filosofi antichi era la forma più sublime di intelligenza. Nella filosofia del Simposio” la bellezza ricevette la sorte di essere ciò che è più manifesto e più degno d’amore”di Platone la bellezza è associata all’eros. Nel Medioevo la bellezza è rappresentata da Dio nella sua perfezione, nel Rinascimento la bellezza la si trova nell’armonia e nelle proporzioni, Kant la espone essenzialmente nel sentimento . Nell’800 Stendhal scrive” che la bellezza è una promessa di felicità”, qui si esprime il carattere intuitivo e soggettivo della bellezza come se non fosse possibile trovare un canone unico, ma ci si potesse avvicinare e conoscere la bellezza solo attraverso la propria soggettività, la propria sensibilità d’animo.
In Nietzsche, soprattutto nella “Nascita della tragedia” si afferma che la bellezza è sempre e solo una “bella apparenza.” Per lui il concetto filosofico di bellezza è una commistione tra l’apollineo e il dionisiaco. Apollo dio della bellezza, Dionisio dio del Phatos, della vita, proprio questo intrecciarsi di opposti, questo connubio tra due impulsi totalmente diversi porta a una coesistenza di armonia, a un miracolo metafisico che è alla base della civiltà ellenica. 
Dostoevskij nell’Idiota quando fa chiedere da Ippolit al pricipe Myskin che cos’è la bellezza dirà: “la bellezza salverà il mondo”,ebbene cosa ci vuol comunicare, se non che la bellezza può e deve fare non è redimere la vita dalla sua finitezza, ma passare attraverso le sofferenze e i dolori che rendono tale la vita. La bellezza che ci indica è la bellezza interiore, legata ai valori, verso la ricerca di un’elevazione dello spirito.  

Oggi, invece, si fa un uso a volte superficiale e banale, improprio della bellezza, che ha poco a che fare con l’estetica e il suo valore intrinseco. Il mondo non migliorerà solo con l’immagine, l’apparire, l’essere ciò che non si è, occorre recuperare il senso d’identità, di valori, di sostanza. La bellezza è la via per educare verso un nuovo umanesimo e autonomia di pensiero, curare l’estetica dei luoghi, dei comportamenti, dei discorsi delle relazioni, dare profondità di formazione dell’uomo.   

Letture

Umberto Boccioni 1882- 1916

Spesso mi capita di leggere contemporaneamente più libri, è una cosa che mi affascina, prendere in mano un autore, scrutare il suo scrivere e poi lasciarlo in sospeso e aspettare il tempo necessario per maturare ciò che mi ha trasmesso. Assimilare, basta poco, altre volte serve più tempo per consultare, approfondire, digerire formule, aspetti del suo pensare, così nel frattempo leggo altro.

Sto leggendo, quasi alla fine “Le notti bianche” di Dostoevskij, Cuore di pietra” di Vassalli e “ La piega” di Deleuze,  questi ultimi due sono una rilettura. Un’altra mia abitudine è rileggere a distanza di anni letture già fatte, capire ciò che mi comunicano di nuovo e trovo sempre qualcosa di inesplorato.

Nel breve scritto di Dostoevskij ho trovato nell’evidenziare il suo sottile insegnamento, nel tracciare un’impronta, un’attualità e una modernità davvero essenziali. La storia del giovane scrittore, che per quattro notti girovaga per le vie di San Pietroburgo evidenziando la sua solitudine, l’alienazione, l’isolamento, l’incomunicabilità verso gli altri pur conoscendo molte persone è riconducibile facilmente al senso di solitudine di oggi che spesso s’impadronisce dell’animo giovanile. Il suo fantasticare, chiudersi e viaggiare nella vita immaginaria, il fuggire la realtà della vita, lo porta a cercare l’incontro con Nasten’ka una giovanissima donna. Il loro conoscersi porta il giovane scrittore a innamorarsi. La forza di questo incontro reale, di questo innamoramento, supera ogni sogno, anche il più fantastico ed elaborato della vita precedente, dopo nulla sarà come prima. E’ la metafora di un cammino verso la maturazione, l’uscita di una solitudine immatura, la ricerca di se stesso, il crescere sentimentale da giovane ad adulto.

Viaggiare sui libri

Nella mia vita ho viaggiato molto, ma non moltissimo, verso disparate mete, mai spiagge o isole esotiche, spesso richiamato dalla bellezza del nostro mediterraneo e delle montagne. L’Europa l’ho solcata piuttosto bene, ho frequentato musei, città e borghi storici, zone poco turistiche per conoscere tradizioni, abitudini, modi di vivere senza intermediari a mistificare la realtà. A volte però, forse per pigrizia o per curiosità, ho viaggiato sui libri, leggendo, approfondendo, assimilando conoscenze, storie, fatti a me sconosciuti. Di alcuni editori mi sono fidato ciecamente, senz’altro: la vecchia Einaudi, Adelphi, Sellerio e Iperborea le mie preferite, alle loro collane e cataloghi mi sono rivolto fiducioso e sono stato ricambiato con affetto, di queste negli ultimi anni spesso ho ricorso a libri dell’ Iperborea. Mi chiedete perché? Semplice mi hanno permesso di frequentare storie, tradizioni dei popoli del nord, i loro ambienti, il loro rapporto con la natura e la loro cultura. Ho letto parecchi autori, mi soffermo solo su alcuni per ragioni anche di brevità e per il fatto che le loro opere, il loro scrivere mi ha lasciato qualcosa di originale e di profondamente umano. Cito solamente: Per Olov Enquist, svedese; Arto Paasilinna, finlandese; Halldor Laxness, irlandese. Del primo ho letto parecchio: Il libro di Blanche e Marie, Un’altra vita, La partenza dei musicanti e recentemente Medico di Corte. Un autore che sa narrare fatti storici con attendibilità e usa un linguaggio semplice che coinvolge umanamente il lettore. Paasilinna è finlandese, piuttosto conosciuto, di lui ho letto: Piccoli suicidi e L’anno della lepre, ha uno stile ironico, narra con distacco e spesso stupisce con il suo humor. Nel L’anno della lepre racconta di un viaggio, iniziato con una lepre ferita e messa in tasca, attraverso il nord del suo paese, pieno di vicissitudini e qualche riferimento storico descrivendo l’ambiente naturale incontaminato quasi da favola del suo paese. Il terzo Laxness, irlandese, non lo conoscevo assolutamente, ma leggendo Gente indipendente, mi ha coinvolto profondamente per il suo narrare immediato, diretto, senza retorica. Racconta in questo libro la vita di un allevatore irlandese, della sua fattoria, della fatica e dei sacrifici, della lotta contro l’ambiente naturale e le ostilità umane. Una storia lunga una vita, come metafora, per portare alla luce la storia e le vicissitudini, il desiderio di indipendenza del suo popolo.

Come dimenticare Friedrich

In gioventù tanto mi hai dato
tra le righe dei tuoi splendidi versi
ho conosciuto l’ineguagliabile bellezza
Avvinto dai tuoi canti
appresi dei, miti e incanti
della classica Grecia antica
Assaporai elegie e liriche
come dimenticare Diotima , musa
che t’ispirò cotanta armonia
Le odi Iperione e Empedocle
poesie d’immortale liricità
ci hai lasciato come eredità
Dalla “torre” hai continuato
rigenerando tutti noi in ciò
che avevamo dentro.

Per capire Camus

Recentemente ho letto un libro/saggio di Michel Onfray che sia per la chiarezza con cui è scritto, che per la profondità di analisi e critica delle opere di A. Camus  ne consiglio la lettura.
“L’ordine libertario, vita filosofica di Camus” è’ un saggio lucido , incisivo, utile e innovativo per comprendere appieno il ruolo che lo scrittore ha avuto nelle varie fasi storiche del xx secolo. Analizzando la sua crescita come uomo e come scrittore, le sue amicizie, il confronto scontro con Sartre, il rapporto con gli ambienti ostili parigini, Onfray documenta il valore dello scrivere di Camus, che va ben al di là dall’essere solo scrittore, evidenzia la profondità filosofica del suo pensiero. Partendo dalle sue opere, come: Lo straniero, La Peste, L’uomo in rivolta, il Mito di Sisifo viene a prendere forma un autore amante della vita, oppositore della pena di morte,  Onfray lentamente, anche con qualche eccesiva e rancorosa critica nei confronti di Sartre, ci porta a conoscere un Camus visto da una prospettiva di pensiero nuova, legato saldamente al mondo dei poveri, degli umiliati, delle vittime, un uomo libertario che non esita ad opporsi ad ogni forma di ideologia e di potere autoritario, un pensatore originalissimo che trae spunto dal vivere, ne fa un nieztschiano convinto e positivo.  
L’autore poi ci indica chi ha continuato e continua l’elaborazione di un pensiero anarchico libertario come Foucault, Deleuze, Guattari, Lyotard, Derrida, Bourdieu, Todd May e Saul Newman. E’ un libro per gli amanti di Camus, un libro provocatorio, coraggioso, di critica vera e genuina, anche in quei punti magari non condivisisbili, perché dimostra come il pensiero libertario di Camus sia ancora motivo di approfondimento e d’ispirazione nel mondo contemporaneo.